Swami Kriyananda disse: “Studiare l’influenza del proprio segno, come fa il vero ricercatore dell’astrologia, è incominciare a comprendere questa scienza divina e porsi sulla strada che aiuta lo studente nel suo cammino attraverso le vie della conoscenza” (R. Rizzi Silva, La via dello yoga. La conoscenza di sé nella luce degli astri, Mediterranee, Roma 1986, p. 92). Un libro del 1986 mi ha aperto un mondo. Ringrazio molto l’autrice, Rosanna Rizzi Silva, per averlo scritto. Ho tratto da lì molte delle informazioni che ho scritto e scriverò su questa piccola serie di articoli sull’astrologia “yogica”.
Siamo sotto il Cielo
Come mai crediamo agli influssi della Luna sulle maree e su altri fenomeni e non crediamo all’astrologia? La Luna è un pianeta, esattamente come gli altri del sistema solare. La scienza astrologica si basa proprio sulle influenze che pianeti e costellazioni hanno su tutti gli esseri presenti sul pianeta Terra. Tutti gli esseri: piante, animali e animali umani. Perché no? Io credo che, dal momento che nasciamo sotto il Cielo, le posizioni di stelle e pianeti in quel momento abbiano a che fare con noi.
Con questa convinzione – che siamo sotto il Cielo e ciò ci influenza – da tempo mi interesso di astrologia, soprattutto dei “tipi” astrologici, e ritengo che il nostro tema natale possa essere un altro strumento per conoscerci (auto-conoscerci e a vicenda), sulla scia di svadhyaya, lettura dei testi sacri, ma anche studio di sé, del “libro della vita”.
Leone
Segno fisso di Fuoco, maschile, dominato dal Sole, pianeta che determina la personalità, lo sviluppo e l’energia dell’individuo. Per Carl Gustav Jung il Leone è la piena realizzazione del Sé. E anche in India la figura del Leone – in cui secondo il mito si è incarnato Vishnu – trascende tutti gli opposti dell’universo diventando la manifestazione dell’onnipotenza della realizzazione.
In entrambe le tradizioni – occidentale e orientale – una coppia di leoni protegge spesso sia i templi indiani sia le chiese da noi; in entrambe le tradizioni la realizzazione si ottiene rinunciando a tutto ciò che si conosce per affrontare il buio con coraggio. Per questo una delle posizioni consigliate al Leone è halasana, l’aratro, un asana che significa “prossimo rinnovamento” ed è ideale per ritrovare la concentrazione e la lucidità necessarie per affrontare qualunque prova.
Secondo Segno estivo, così come l’estate esibisce l’opulenza dei suoi raccolti, il Leone rappresenta il culmine di tutte le potenzialità umane: carattere ambizioso/desiderio di evoluzione; idee nobili; intelligenza vivace. Il Leone è un accentratore, è un esibizionista e ama circondarsi di persone, è una guida brillante e ricopre ruoli manageriali prestigiosi. Brucia di raro ardore e ama il comando, risultando punto di riferimento per la comunità; protettivo, leader e generoso (rispecchiandosi magnanimo nei suoi doni), sopravvaluta le proprie forze e spesso si ritrova stressato; se non si riposa sarà il cuore a soffrire – anche gravemente. Cuore, aorta, spina dorsale sono i punti deboli leonini, con malattie come angina pectoris, miocardite, ipertrofia del cuore.
Il chakra corrispondente al Leone è Anahata, il bija-mantra quello dell’elemento aria: yam., da ripetere a bassa voce, con la mente concentrata al centro del petto. Proprio per trovare equilibrio tra le proprie forze e una disciplina di vita, lo yoga serve molto al nativo Leone, in particolare la meditazione e la vibrazione dei mantra (soprattutto, come già detto, quello collegato ad Anahata, il chakra corrispondente al Leone).
Asana
Il Leone insegna ad essere autoreferenti, deve imparare la collaborazione, e per apprezzarla può servire praticare alcune posizioni in coppia, come per esempio Shiva Nataraja, Ganapati, Maha-Mudra.
Nell’astrologia indiana il Leone è detto simha, e proprio simhasana è chiamata la posizione “del leone ruggente”: in ginocchio, con le caviglie incrociate e le mani sulle ginocchia, si espira violentemente – dopo una profonda inspirazione – spalancando la bocca, estraendo la lingua puntandola verso il basso. Ne risulta una vibrazione simile a un suono soffocato, senza usare le corde vocali. Contemporaneamente le dita delle mani si atteggiano come artigli piegando le dita, e gli occhi aperti fissano un punto tra le sopracciglia, verso il cielo. L’aspetto del viso è proprio quello di molte statue a guardia di cancelli e portoni, qui da noi come in India.
Quali posizioni yoga?
Dharmikasana, o della devozione: in ginocchio, piedi allungati e distanti, come le ginocchia, fletto il busto in avanti allungando le braccia di fronte, palmi in basso, e appoggio la fronte sul pavimento; non importa se il bacino si solleva un po’, allungo le braccia in avanti, come per avvicinare il petto al suolo. Resto, respirando e continuando a lasciar andare il petto verso terra rilassando la schiena. Possoripetere altre 2 volte o restare a lungo in un’unica esecuzione.
Janu-shirshasana, o “del ginocchio (janu) e della fronte (shirsha)”, poiché un giorno si incontreranno: seduto con le gambe molto divaricate e distese ne piego una, avvicinando il tallone al perineo, ruoto poi il busto verso la gamba rimasta allungata e mi fletto in avanti, scivolando con le mani lungo la gamba (se riesco comodamente posso afferrare la caviglia o il piede con entrambe le mani); la testa non si lascia andare subito, ma solo dopo un paio di respiri o tre. Ripeto dall’altro lato per lo stesso tempo (3-4 respiri nella prima esecuzione) e tutto il ciclo per un totale di 3 volte, aumentando via-via i respiri di statica.
Vyagrasana: in quadrupedia, ginocchia vicine, piedi puntati o distesi. Inspiro, ed espirando piego la testa e il ginocchio destro verso l’ombelico, forse si incontrano, forse no; inspirando faccio il gesto opposto: alzo il mento e lo sguardo verso il soffitto e allungo la gamba destra all’indietro e in alto, piegando poi il ginocchio per portare il piede verso la testa; espiro portando di nuovo testa e ginocchio destro a incontrarsi verso l’ombelico e poi ripeto il gesto opposto nell’inspiro e così via per 5 cicli respiratori.
Quindi cambio gamba e eseguo 5 cicli col ginocchio sinistro. Come si capisce subito guardando la figura,
il movimento lavora lungo tutta la colonna vertebrale, ed è un ottimo sistema per risvegliare il corpo al
mattino, così come fa la tigre (e anche i gatti).
Ujjayi pranayama: come sempre, spiegare per iscritto una tecnica respiratoria è un po’ complicato (come, forse di più, on-line. Infatti sarebbe meglio non farlo. L’apparato respiratorio è molto delicato!), ma tenterò. Il respiro ujjayi – o “del vittorioso” – si ottiene imitando l’espirazione che facciamo volendo pulire gli occhiali o un vetro. Ma per ujjayi si fa a bocca chiusa. Il risultato è una leggera vibrazione che si percepisce alla base del collo, lì dove è situata l’epiglottide, una valvola preposta a chiudersi sulla trachea quando inghiottiamo, per indirizzare il cibo, la bevanda o la saliva verso il giusto canale, cioè l’esofago. Se l’epiglottide non fa bene il suo lavoro e qualcosa di ciò che stiamo inghiottendo va nella trachea tossiamo e tossiamo per buttarla fuori. Tutto questo meccanismo è automatico, quindi per praticare ujjayi non dobbiamo “pensare” nulla, ma solo ricercare il giusto suono, o meglio la corretta vibrazione. Infatti per insegnare la tecnica non faccio altro che produrre il suono e tutti, sentendolo, sono subito capaci di
imitarlo. Il consiglio è di andare da un insegnante (o un’insegnante) per impararlo, perché con le parole non posso
fare di più. E non posso fare molto di più nemmeno per la prossima, ultima posizione indicata per i nativi e le
native Leone, shavasana.
Shavasana: per praticarla non facciamo altro che stenderci sulla schiena, con le gambe un po’ divaricate e i piedi
lasciati cadere all’infuori, le braccia distanti dal corpo con i palmi delle mani rivolte verso l’alto e gli occhi chiusi.
Ma mentre il corpo – shava – sta immobile lì, abbandonato sul pavimento, la mente fa un “viaggio” lungo ogni
singolo distretto, dai piedi ai capelli, rilassandolo col respiro e la consapevolezza di inopportune tensioni da
sciogliere. Ma ci vuole una guida, ci vuole la voce “giusta” che aiuti il rilassamento senza farci addormentare, ci
vuole un insegnante che sappia cosa fare. Comunque, per iniziare, 2-3 minuti di immobilità nella posizione possono
bastare. Poi cercate l’insegnante che vi insegni shavasana come si deve. E buona ricerca (ma non buonanotte!)
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