Carla Perotti è una figura eccezionale nello yoga italiano. Ha praticato e insegnato yoga per oltre 60 anni, dal 1958, anno in cui ha fondato a Torino Sadhana, uno dei primi centri yoga della città, e l’Associazione Culturale Italo-Indiana.
Carla Perotti ha lasciato il suo corpo fisico all’inizio del 2018. Circa 6 mesi prima, ho avuto l’occasione di incontrarla nella sua casa di Torino e di raccogliere questa intervista, inedita fino a oggi. È davvero un onore pubblicarla.
Carla Perotti – un breve profilo
Laureata in filosofia sulla Gestalt e appassionata di lingue (parlava francese, inglese, spagnolo e tedesco) Carla Perotti era pubblicista: ha lavorato 16 anni alla Gazzetta del Popolo, poi a La Via del Piemonte di Adriano Olivetti, Urbanistica, Nord e Sud, Paese Sera. Ha praticato e insegnato yoga per 60 anni, allieva di Giorgio Dharmarama e poi di Jean Klein, che ha seguito per 40 anni in tutta l’Europa. Nel 1958 ha fondato a Torino l’Associazione Culturale Italo-Indiana, per diffondere la conoscenza della cultura indiana attraverso conferenze, dibattiti, spettacoli musicali. Ha scritto una commedia, che è stata tradotta in serbo ed è stata sei mesi in scena al teatro nazionale di Belgrado. È tra i soci fondatori dell’Associazione per una guarigione consapevole, alla quale appartengono medici e psicologi.
Carla Perotti è autrice di alcuni libri sullo yoga, nei quali ha esplorato le radici della sofferenza e ha approfondito la relazione tra disagio psicologico e malattia, anche su se stessa, gestendo il cancro e la chemioterapia in occasione di un linfoma. Tra i suoi libri pubblicati: Lettere a un ragazzo drogato, I giorni del drago, Amarsi e guarire, Il tuo corpo, Lungo le rive del tempo (con De Agostini); Oltre i 50 (Rizzoli Sperling); Nel giardino della guarigione (Primalpe, poi Psiche); Gli ideogrammi del benessere (Promolibri); I miei maestri, Gustavo Rol, il mio primo maestro (Psiche); Essere Yoga (Serra Tarantola); Anime nomadi e I portatori di Luce con fotografie di Enrica Bortolazzi; Calendario dei bambini tibetani, La giostra celeste (Lindau, Età dell’Acquario). Per dieci anni ha organizzato vicino a Piacenza una manifestazione dedicata a “I libri degli amici”, alla quale partecipavano alcune centinaia di lettori.
“Ai piedi della Maestra”
Intervista a Carla Perotti
Domanda: Qui ho un elenco di domande e leggo “Brevi note biografiche”. Lei è nata a…?
Risposta di Carla: Mi sento nata dappertutto… ho la sensazione di essere nata ovunque. Per questo forse mi interessa sempre conoscere le lingue. Ora sto ristudiando il tedesco.
D. Ma su questo “piano” lei è nata a?
R. Torino, il 27 luglio 1929 alle ore 13,30.
D. Qui ho scritto, come ha visto, le domande che mi sono venute in mente e che mi interesserebbe che le persone interessate allo yoga sapessero di lei; per quello ho scritto “Come e quando è stato il suo primo contatto con lo yoga?”
R. La prima persona che mi ha parlato di yoga adesso è in Paradiso e si chiamava… quello che lavorava a Villa Era…
D. Giorgio Filippo Barabino?
R. Brava! E siamo… prima del Mille… [Carla ride]… Negli anni Cinquanta, al Caffè di Portofino. Ma prima di lui ho conosciuto il padrone di Villa Era, Franz Rivetti, che era il nipote della contessa Di Caravino, la prima persona che ha portato in Italia la macrobiotica. Dunque la scintilla è venuta da Giorgio Barabino.
D. Chi/cosa è stato il suo primo insegnante, e dove?
R. Quando sono venuta a Torino io cercavo già un maestro di yoga, ma non c’era. Fino a quando qualcuno mi ha detto: “Guarda che adesso è arrivato uno, che sta in corso Moncalieri”. Lavorava in un ospedale di Genova – come mai in un ospedale? Perché insegnava a respirare. E questo era Giorgio Dharmarama: a Torino va a lavorare in un posto infernale, in via Principe Amedeo, dove da una parte facevano karate e dall’altra yoga. Quindi [Carla batte sul tavolo con la mano e ride] con tutte le percussioni che puoi immaginare io “mi estinguevo”. Andavamo là, ma lui aveva setacciato un certo numero di amici, sei o sette, e andavamo a casa sua in corso Moncalieri; siccome avevano detto “sta dalle parti del Valentino” io ho fatto tutto corso Moncalieri a piedi, finché ho trovato una casa con un bovindo laterale e sono entrata lì… ed era casa sua. Di lì, in un odore di cipolle e di curry persecutorio, ci siamo poi trasferiti in via Vittorio Amedeo 18, la porta dopo la mia. La mia mamma mi ha permesso di portare là due cassettoni gemelli che hanno arredato l’ingresso in modo maestoso, poi c’era tra gli amici Rosaria Landone (che ricorderei volentieri), napoletana, estroversa, cuoca fantasiosa, che faceva delle brioches salate alte così; due volte alla settimana mangiavamo in questa stanza della scuola, dove si mangiava bene. Ed è cominciata così la consapevolezza del cibo.
D. Quindi possiamo dire che il suo primo insegnante di yoga è stato Dharmarama?
R. Sì, possiamo dire che è stato lui, che si chiamava Giorgio Thozhuthumkavayalil Dharmarama, Si è stabilito lì con la moglie – che era poco comunicativa, se non muta – e una figlia, intelligente, ma che non apparteneva più né all’India né all’Europa. Lui è stato per me un uomo prezioso perché era anche colto… aveva due versanti. Lì sono cominciate delle attività che includevano concerti di musica indiana, ascolti, conferenze, ecc.
D. Come ha saputo dell’esistenza di Jean Klein?
R. Un bel momento. Io avevo sempre male al collo e qualcuno mi dice: “Guarda che sta venendo a Torino un medico speciale” e io dico “Be’, lo consulterei volentieri…”, “Ti prendo io l’appuntamento”. Questo medico era Jean Klein. Lo incontro a Givoletto, in una casa che non sapevo di chi fosse e c’era questa finestra aperta su un giardino pieno di fiori della primissima estate, forse ancora primavera. Lui mi guarda, io gli dico “Sa, ho sempre male al collo” e lui mi dice: “Lei deve rivedere il rapporto con suo padre”! E certo! Era proprio il punto… [Carla ride]. Io resto folgorata dall’intuito e da tutto l’insieme di questo essere.
Mi dicono che dopo pochi giorni fa un seminario a Pianezza, nella casa del vescovo. Io vado, ma non solo vado, mi trascino dietro Ornella, un’amica ancora totalmente inconsapevole dell’importanza che avrebbe assunto l’incontro sulla nostra vita, e Giancarlo. E andiamo. Lì ho capito che cosa c’era dietro… e allora io e Ornella abbiamo continuato a seguirlo ovunque. Avevo un’amica a Roma che era anche mia vicina di campagna, che aveva tanti soldi, con autista, automobile, eccetera, e quando Klein tenne un seminario in Svizzera disse “Vengo anch’io. Ti vengo a prendere.” Facciamo questo viaggio da signori e da allora siamo sempre andate a seguire Klein da signori! Finendo poi anche come delle poverette: il seminario di Camaldoli fu indimenticabile per il gelo.
Klein aveva mangiato una volta a casa mia, a Torino, perché gli avevo fatto fare un incontro con la Fiat (speravo di portare lo yoga nelle fabbriche – invece ci hanno ricevuto in una stanza con le poltrone di pelle, gli hanno dato una medaglia con sopra quattro “babaci” e basta). Da allora mi ha sempre affidato di scegliere il menù. Io avevo un cuoco svizzero, che però certo non sapeva fare la pizza, ma gliel’ho insegnato. L’accoglienza in Svizzera era molto ospitale, con un blocco di bagni dove ognuno aveva la doccia calda, si poteva lavare i capelli, ecc. Attorno a questo blocco di bagni c’erano le camerette, io dividevo la camera con un’amica e parlavamo fino alle due del mattino, perché c’erano sempre tante cose da dirsi. Lui aveva la camera vicino a me e ho avuto qualche incontro privato; mi diceva che mio marito era un despota… Io rispondevo “Forse… però io non me ne accorgo”, perché non mi sono mai accorta che fosse un despota… sì era un uomo centrato, però era anche in gamba, vendeva tante di quelle gru e betoniere. Aveva fatto due prigionie, povero cristo, prima con i tedeschi poi con i russi: i russi gli han tolto le scarpe due giorni dopo averlo liberato e ha fatto un anno e mezzo di Russia con due piastrine di legno sotto le piante dei piedi gelati. Klein mi diceva che mio marito era un despota per insegnarmi come comportarmi con un despota. Cosa che non ho ancora fatto. Da quel primo incontro l’ho seguito dappertutto, sceglieva sempre dei posti molto belli. Era un uomo libero, ha avuto moltissimi amori per fortuna, esplicitamente vivibili, con donne ricchissime. L’ho seguito per 40 anni, sempre.
D. E all’interno di questo suo seguire Jean Klein è maturata la decisione di fare l’insegnante? Come ha deciso di fare l’insegnante? Come ha deciso di aprire il suo Centro, Sadhana, a Torino?
R. No, io non mi sono mai proposta come insegnante. Io ho fatto quello che la gente mi chiedeva. Un bel momento mio marito mi dice: “Senti, visto che ti piace tanto lo yoga, è rimasto vuoto l’alloggio di via Vittorio Amedeo. Vuoi provare, mentre è vuoto? Magari arriva qualcuno”. Allora vengo qui, metto un po’ di stuoie e suona il campanello una signora, mai vista prima. Quando dichiara le sue generalità, scopro che era la figlia dell’ultimo paziente di mio padre, ricoverato in fin di vita alla Clinica Fornaca. Mio padre era andato a dormire nel letto accanto al paziente (perché mio padre era medico, ma lo era sul serio). Questa signora mi manda un bambino che non stava più in piedi perché aveva una forma neurologica; per camminare si appoggiava ai muri, era un bambino delizioso, ricco dentro. Allora lo prendo con me, lo porto nel boschetto che c’è vicino al castello di Stupinigi, ci sediamo sul tronco che era per terra e lì comincia la presa di coscienza di questo bambino, dei suoi piedi, del suo respiro… insomma è stato il mio secondo allievo. Nel frattempo un’amica molto cara aveva anche lei un marito con una forma progressiva; mi telefona il marito e mi dice: “Io sono disperato, non posso neanche più tagliarmi la costoletta nel piatto, perché è come se non avessi le mani” e io ricomincio anche con lui. Questo intervento ha avuto un tale successo che ha ripreso a giocare a golf, sia pure utilizzando il carrello a motore; poi si è trasferito a Roma e ci siamo persi. E così un allievo ne mandava un altro e io continuavo… mi piaceva.
D. Ci dica qualcosa dell’Istituto Italo-Indiano da lei fondato a Torino.
R. Prima eravamo al numero 18 di via Vittorio Amedeo, come dicevo, poi si è liberato questo appartamento e qui ha preso vita il Centro. Il nome “Sàdhana” (che tutti, sbagliando dicono Sadhàna) gliel’ha dato Klein. Eravamo io, Ornella e Michelangela. Poi sono arrivate altre insegnanti, con cui ho potuto dividere le spese, e il Sàdhana si è trasformato da pochi allievi a quello che è ora.
D. Che cos’è, secondo lei, yoga?
R. Lo yoga è un’esperienza di natura apparentemente fisica, che tocca tutti i livelli più profondi della persona e fa venir fuori il meglio di te. Tu capisci intanto che non sei qualcuno e questo è già tanto… [ridiamo], Poi senti che non ti conoscevi affatto e allora senti davvero di essere, come si dice in una delle Upanishad, una delle gocce di fuoco del sugo divino. Sarà una scintilla minuscola, ma… [ridiamo].
Io ho metabolizzato la nostra religione attraverso lo yoga, cosa che hanno capito solo un tale padre Cappelletto, padre Antonio Menegon e padre Guerello, preside dell’Istituto Sociale. Andai da lui dicendo che non capivo niente di Cristo, della Madonna e di questa famiglia complicata… e lui mi ha risposto: “Vieni da me una mattina presto, che voglio fare una messa per te”; io sono andata, eravamo solo io e lui e lì è “passato” qualcosa che era dentro di lui, ed era uno dei piatti migliori che ho gustato. Dopo sono andata a fare la comunione, ma perché non c’era più separazione. C’è una frase così bella che mi ha detto Alberto Stipo: “Poche persone sanno che “gli altri” sono loro”. Padre Cappelletto era intelligente ed era anche buddhista: ricordo l’episodio in cui siamo andati a trovare un amico morente e lui mi ha chiesto “Il Libro tibetano dei morti lo leggi tu o lo leggo io?” e io risposi che per me era uguale. Così lui recitò il rosario mentre io declamavo le parole del Bardo Thodol. Lui lavorava a Venezia prima di essere trasferito a Torino, e il vescovo chiese di trasferirlo perché “qui a Venezia fa diventare tutti buddhisti” [Carla ride]
D. Com’è stato il suo contatto con lo yoga?
R. È come se tu avessi una borsa in cui hai una tazza, un bicchiere, la forchetta, un coltello, ma è tutto un po’ in disordine. E invece tiri fuori tutto, lo metti su un tavolo e capisci. Ma son convinta che è così anche per te, perché ti ha commossa questa risposta. Io poi in tutto questo ho avuto una vita personale molto libera, molto mossa, molto tutto… mi sono innamorata… ma fa tutto parte della fortuna, mi innamoravo sempre di gente che valeva la pena. E siccome non c’è nessuna separazione, anche adesso dal posto di qua al posto di là non c’è distanza.
D. Ci dica qualcosa dello yoga contemporaneo (o meglio, degli yoga contemporanei)
R. C’è un rischio: il fatto che tutti lo chiamino yoga “telefoninico” o “datteristico”, con tutti questi appellativi, dipenda dal fatto che c’è un bisogno di appropriazione, di dire: “io sono il detentore”. Qualcuno che non si è ancora spogliato cerca un suo nome. Le tecniche non hanno nessun senso. Io perdono kapalabhati e bhastrika, e niente al di là di questo. Sì certo, se io mi siedo e vedo i colori non c’è bisogno di chiamarlo “lo yoga dell’arcobaleno”: fanno parte dello yoga anche la percezione, la sensibilità, i colori…
D. Che cos’è asana per lei?
R. Una modalità del mio spirito. La materia sta cercando disperatamente di realizzare se stessa come spirito e un asana è una tappa sul cammino.
D. Non abbiamo parlato dello yoga terapeutico, e io ci credo molto. Credo al valore terapeutico dello yoga.
R. Tutto ciò che aiuta a ri-centrarsi va bene, tutto quello che aiuta a capire va bene. L’Associazione per una guarigione consapevole, fondata con il medico Mino Tamponi, ha un nome in cui c’è tutto: guarigione, consapevole. Ne fanno parte dei medici di cui ho grande stima, come Consuelo Valentin (medico primaria di “neuro-tutto” al CTO di Torino, lavora alle Molinette), Maria Luisa Giordano, intima amica di Gustavo Rohl.
Le foto di questo articolo sono di Sebastiano Velio Picchioni, scattate a Torino, a casa di Carla Perotti, il 27 maggio 2017.
Peraro Severina
1 Maggio 2019 @ 7:36
Grazie per aver condiviso con noi questa bella intervista, ne sono rimasta affascinata e leggendo mi sono resa conto che mi trasmetteva pace io non ho mai praticato yoga, ho 60 anni, ho letto che ci sono dei corsi dedicati a questa fascia di età, potrei avere informazioni?….. Grazie ancora e buon tutto
Alessandra
16 Maggio 2019 @ 7:57
Grazie Cinzia per il contributo, due preziose maestre di guargione.