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Nel 2014, valutando l’edizione originale per l’eventuale traduzione ed edizione Macro del libro, scrivevo così: “Un ottimo strumento di lavoro per insegnanti che, però, abbiano già un po’ studiato e siano quindi divenuti umili […] mentre sto insegnando yoga mi serve questo libro […]. Mi serve mentre sto ancora studiando le posizioni, ma soprattutto mi servirà quando insegnerò (e mi serve se già sto insegnando e già ho incontrato tutte le difficoltà che questo libro può aiutarmi a superare)”. E ora che ho nelle mani  la seconda edizione di L’Insegnante di Yoga di Mark Stephens in italiano confermo tutto quanto, con qualche – molta – aggiunta, perché posso vederlo per intero e nella mia lingua. Quindi cominciamo.

Le parole di Mark Stephens

L’autore è nato il mio stesso anno, quindi avrei una curiosità da “coscritta”: cos’ha fatto e dove è stato fino al 1991? Ha cominciato a praticare solo in quell’anno, a 31 anni di età? E poi nel 1996 ha iniziato a insegnarlo? (La risposta a questa domanda l’abbiamo poi trovata nella nostra intervista a Mark Stephens.) Be’ in ogni caso ha fatto un buon lavoro se a p. 340 scrive così: “Insegnare yoga è la logica prosecuzione della pratica personale. Che stiate compiendo il primo passo sul cammino dell’insegnamento, o che siate già formatori avanzati, ogni volta che praticate scoprite di nuovo l’essenza dello yoga come strumento di trasformazione di sé. […] Insegnare è anche una prosecuzione della propria vita, perché il modo in cui si vive si riflette nel modo di insegnare. Dedicarvi a questa via approfondirà la vostra pratica personale e porterà lo yoga in ogni aspetto della vostra” e qua, nel testo c’è una nota che indica il libro in cui Donna Fahri (Insegno yoga, Macro 2016) prende in esame le relazioni tra lo yoga e la vita nel suo complesso.

Istruzioni per perfezionare una posizione

Wow! In questo libro ho trovato proprio ciò di cui ho bisogno ora, dopo quasi trent’anni di insegnamento, dopo che le posizioni le conosco, le riconosco, ne so il nome sanscrito (e l’equivalente italiano), so le controindicazioni, so dove sistemarmi nello spazio per essere vista meglio… (tutte cose, queste, trattate nel libro); ora ho bisogno di suggerimenti per approfondire, perfezionare, migliorare, uscire/entrare nelle e dalle posizioni (sia per la mia pratica personale come aggiornamento continuo, sia con allievi/e esperti/e o anche per insegnare nei corsi di formazione). Quindi mi ritengo molto fortunata perché ho già nelle mie mani questo libro, letto in anteprima per recensirlo. E mi sento di consigliarlo vivamente.

Non è un caso che in fondo al libro siano pubblicizzati gli altri due titoli di questa specie di “trilogia per chi insegna”: Insegno yoga (di Donna Fahri, un libro dal forte accento sull’etica della professione e quasi niente foto di tecniche o pratiche); Yoga per tutti (di Meta Hirschl, con forte accento sulle modificazioni e gli aggiustamenti delle posizioni per adattarle, come recita il titolo, a tutti). E con L’insegnante di yoga si completa il triangolo: chi insegna, cosa insegna, come lo insegna. Direi che in Italia questi tre libri sono attualmente il meglio che un insegnante di yoga serio può trovare per il suo lavoro (o meglio mestiere, perché questo è l’insegnamento dello yoga: un insieme di arte, competenza e passione).

Fotografie

Le foto di L’Insegnante di Yoga ricordano un po’ i vecchi libri di yoga, con le prime immagini in bianco e nero che arrivavano in Occidente, niente fronzoli, né abbellimenti, né tutine aderenti o simili. Niente figaccioni biondi muscolosi, né orientali con la coda. L’asana. Punto. Poi le parole spiegano, in modo anche molto generoso. Ne è prova la tabella D dell’Appendice D, in cui c’è il nome della posizione, la sua preparazione (con quali posizioni), l’integrazione (con suggerimenti di tecniche e asana per “compensare”) e infine l’esplorazione (cioè approfondimenti e perfezionamenti). La tabella contiene oltre 100 posizioni, in ordine alfabetico, che abbiamo già incontrato nell’Appendice C, dove, da p. 356, c’è la Lista delle asana, con il nome sanscrito, la traduzione italiana e una piccola foto – molto esplicativa di quale posizione si sta parlando. Nel corso del testo, come già detto, le stesse foto, ingrandite e chiarissime, sono disseminate lungo i vari capitoli, con una spiegazione che riguarda anche i rischi, le modalità di assunzione e gli aspetti da ricercare e sottolineare.

Da dove siamo partiti e dove stiamo andando

Una delle parti più emozionanti per me è stato il Capitolo 1: venti pagine tutte dedicate (non a caso all’inizio) a Le radici antiche dello yoga moderno. Scopriamo chi ha cominciato a parlare di yoga, chi lo ha portato in Occidente, i principali maestri, gli antichi testi, tutto scritto in modo per nulla noioso e anzi con un linguaggio molto “giornalistico”.

Il Capitolo 2 riguarda poi, come logica conseguenza, L’Hatha Yoga moderno, altre 20 pagine sugli stili contemporanei, le loro caratteristiche e sugli “stili a disposizione di un insegnante” (pp. 21-46).

Prima dei capitoli su come è fatto il corpo umano, c’è una parte dedicata a un altro tipo di anatomia: kosha, prana, nadi, andha, chakra, guna, dosha, e soprattutto su come portare queste informazioni nella lezione.

Risposte

Insegnando da 10 anni alla scuola di formazione dell’Isyco di Torino (presso corsi a Bologna, Verona, Milano, Torino: diverse città, uguali esigenze) ho sentito quali sono le domande che i neo-insegnanti (e a volte, per fortuna, anche i vecchi insegnanti) si pongono e ci pongono, magari durante le sessioni di esame finale. Riguardano soprattutto la didattica, cioè il come insegnare; le tecniche infatti bene o male le impari, poi con la pratica personale le approfondisci, ma porgerle è tutt’altra storia, soprattutto quando ti trovi davanti allievi diversi per età, esigenze, preparazione… Nei corsi di formazione alla materia asana viene dedicata la maggior parte del tempo. Ma poi come trasmettere ciò che ho imparato? Non mi ricordo come mi è stato insegnato, quando anch’io ero principiante, e come sono stato condotto alla posizione finale! Infatti uno dei difetti maggiori che riscontro durante gli esami è che gli esaminandi conducono la lezione come se avessero davanti tutti allievi avanzati… In questo libro ci sono molte risposte alle domande sulla didattica, tanto che sarebbe bello consigliarlo come libro di testo nelle varie scuole di formazione, che sono tutte un po’ carenti nella didattica.

Ci sono capitoli sulle tecniche dell’insegnamento, su come creare le sequenze, sui problemi specifici che si incontrano insegnando (principianti, traumi e infortuni, yoga per la gravidanza, yoga nelle carceri…). Come creare una sequenza equilibrata è un’altra delle maggiori preoccupazioni di chi impara a insegnare, lo verifico ogni volta, sia durante le lezioni sia durante gli esami, quando gli allievi devono presentare una “loro” sequenza. Anche per questo problema a p. 276 troviamo un paragrafo che mi sono divertita a ribattezzare “Cinque pezzi facili” (in omaggio al famoso film del 1970, con Jack Nicholson, cui si è ispirato anche Claudio Lolli per il suo disco Nove pezzi facili, del 1992):

“Attenendosi ai cinque principi seguenti è possibile ideare delle lezioni efficaci, prive di rischi e integrate: […]

  • conoscere gli allievi e calibrare l’insegnamento su di loro […]
  • passare da asana semplici ad asana complesse […]
  • passare dall’esecuzione dinamica a quella statica […]
  • l’effetto sattvico […]
  • l’integrazione degli effetti dell’asana”;

Naturalmente non basta questo elenco, come possiamo immaginare, infatti c’è un intero libro per approfondire e imparare ad usare queste indicazioni! Ed è per questo che ho scritto tutto quello che avete letto finora – grazie – per consigliarvi di procurarvi la vostra copia e studiare come fare “L’insegnante di yoga”.

Domande…

E se ancora non insegno e voglio frequentare una scuola? E se qualcuno chiede in quale scuola iscriversi per diventare insegnante di yoga? Come la scelgo una scuola di formazione? Da p. 332 troviamo perfino una specie di “test”: “Quali sono i valori filosofici della scuola? Si rifà a un lignaggio, a una tradizione o a uno stile specifico? […] Il programma di formazione ci prepara a lavorare con le donne incinte, con i principianti, con le persone infortunate o in qualche modo limitate nella pratica?”.

Pattabhi Jois e Krishnamacharya

Ho adorato trovare citato qui! (p. 341) Pattabhi Jois, con la sua massima “lo yoga è 90% pratica e 10% teoria”. Come ho trovato dirimente, per l’eterna diatriba “può lo yoga essere anche una terapia?”, la storia scritta del grande Tirumalai Krishnamacharya (1888-1989), maestro anche di Pattabhi Jois, padre di Desikachar. Quest’ultimo – fratello di Sribashyam, insegnante tuttora attivo in Italia e non solo – ha creato uno yoga terapeutico (troviamo indirizzi e riferimenti nell’utile Appendice A (da p. 343) con indirizzi e/o siti di associazioni di categoria, come per esempio proprio l’International Association of Yoga Therapists). Leggendo, insieme alle altre, la storia di Krishnamacharya vi troviamo l’essenza del suo insegnamento:

“non è la persona a doversi adattare allo yoga, ma la pratica dello yoga a doversi adattare a ciascuna persona”.

Seguendo (anche) il pensiero di Krishnamacharya, da anni ripeto che la posizione del loto (padmasana) non è così fondamentale come sembra; ma soprattutto mi dispero per tutte quelle persone che non si avvicinano nemmeno allo yoga perché non sanno sedersi per terra in quella posizione. Immaginate la mia soddisfazione nel leggere, in un paragrafo intitolato Assumere la posizione seduta, queste parole, scritte per di più da un insegnante giovane e famoso:

“Alcuni hanno bisogno di una sedia, di un cuscino alto, oppure di poggiare la schiena a una parete. […] Sono […] pochissimi gli occidentali, compresi quelli che meditano da molto tempo, capaci di stare seduti in questa posizione per periodi prolungati, forse perché in occidente siamo tutti cresciuti sedendo sulle sedie. Di conseguenza, stare seduti in padmasana per lungo tempo, può danneggiare le anche. Suggerite agli allievi di stare seduti usando tutti i sostegni che ritengono necessari […]”, pp. 266 ss.

Altro che “appendici”

Appendice B (p. 349): piccolo Glossario (che secondo me dovrebbe essere sempre in tutti i libri di argomento yogico), da “a”, lettera privativa in sanscrito, a “yoga-robics”: “serie di esercizi che utilizzano le asana dello yoga come puro esercizio fisico”. Con il Glossario capiamo una volta per tutte il perché dei nomi sanscriti – soprattutto quelli composti: alcuni prefissi significano sempre la stessa cosa e descrivono la posizione: adho=in giù; parsva=laterale; ardha=metà; Pparipurna=pieno; parivritta=incrociato ecc. Grazie a questo Glossario si semplifica la lettura dei nomi sanscriti e il riconoscimento più immediato delle diverse posizioni (soprattutto nelle varianti).

Appendice C (p. 356): breve riassunto degli asana, con foto chiare, benché piccole, e molto utili.

Appendice D (p. 366): come giungere all’asana, come approfondirlo, una volta conosciuto bene.

Belle scoperte

Bella la riflessione sul toccare gli allievi, a p. 149, e soprattutto la “qualità” del tocco, con una piccola tabella delle qualità da sviluppare nell’allievo: toccare i quadricipiti per chiarire al praticante il livello di contrazione/rilassamento; toccare una spalla per comunicare un senso di compassione…

Altra piacevole scoperta è il Saluto al Sole col respiro, bello e ben spiegato. N, non facilissimo da trovare in altri testi (pp. 159 e ss.).

Gentile a mettere le più popolari sequenze; almeno bisogna conoscerle! Poi l’insegnamento personale magari non le contempla, ma è bello trovarsele tutte qui, elencate, a pp. 291 e seguenti, con una proposta di esercizio e domande per scoprire i principi di base delle diverse sequenze: “Quali sono i differenti effetti energetici di ciascuna sequenza?” o “A quali tipologie di persone si adattano le diverse sequenze?”

Alle pp. 237-238 ho trovato carina la riflessione su Pranayama o Pranaayama (nel primo caso “controllo”, nel secondo “liberazione” invece… e infine…

Pranayama

Bravi, ovunque ci sono le “precauzioni” e le “attenzioni” da adottare: “finché si è raggiunta la perfezione nelle posizioni, non si dovrebbe provare a praticare il pranayama” [Iyengar, 1993]. Fondamentale la frase di p. 249: “Chi ha la pressione alta, problemi cardiaci, o avverte pressione nella testa o intorno agli occhi, non dovrebbe eseguire le ritenzioni o il kapalabhati […]. Chi ha la pressione alta o bassa dovrebbe ricevere istruzioni personalizzate da un insegnante ed esplorare queste tecniche con maggiore cautela, limitandosi al livello iniziale […]”. Col Pranayama non si scherza! E bravissimi con la tabella di p. 259: “Quando e a chi insegnare il pranayama”. Non improvvisiamo, soprattutto col Pranayama. Molto utile, me la sono copiata come promemoria.


L'Insegnante di Yoga, di Mark Stephens, Macro EdizioniL’Insegnante di Yoga, Macro Edizioni

Primo volume di un trittico dedicato all’insegnamento dello yoga, L’Insegnante di Yoga è un libro essenziale per gli insegnanti, ma che non può non appassionare chiunque ami lo yoga. Oltre 400 pagine dedicate ai metodi di insegnamento, a come creare sequenze e lezioni, come eseguire e guidare al meglio gli allievi nelle asana, nel pranayama e nella meditazione, con la garanzia della competenza di una delle più importanti voci dello yoga contemporaneo.

 

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