Gabriele Severini è un insegnante di grande esperienza, certificato ufficialmente dal Shri K. Pattabhi Jois Ashtanga Yoga Institute di Mysore, India. La sua scuola è a Roma e a Vivi Yoga porterà una masterclass dedicata all’Ashtanga Yoga di Shri K. Pattabhi Jois nella sua forma tradizionale. Il suo sito è www.ashtanga-roma.org.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Gabriele e di parlare con lui della sua esperienza di studio con un grande maestro, di un tema importante come il respiro e di come l’Ashtanga Yoga sia una disciplina per tutti.
Intervista a Gabriele Severini
1. Quando hai conosciuto lo yoga e come hai capito di voler diventare insegnante?
Ho conosciuto lo yoga nel 2000. Mia sorella viveva a Londra e praticava l’Ashtanga da qualche anno, fu lei a farmelo conoscere, inizialmente non ero interessato, poi un giorno decisi di andare a provare una lezione e da allora non ho mai smesso. Fui abbastanza fortunato ad avere a Roma la scuola di Lino Miele e Tina Pizzimenti, al tempo unici insegnanti certificati e di riferimento in Italia. In quegli anni l’Ashtanga cominciava ad essere più conosciuto ma era ancora una piccola realtà. Oggi il numero degli insegnanti è decisamente aumentato.
Inizialmente praticavo un paio di volte alla settimana, prendevo le cose alla leggera, poi ho iniziato ad aumentare la frequenza e partecipare anche ai workshop di Lino Miele. La voglia di approfondire l’Ashtanga mi ha spinto dopo un paio di anni ad andare in India, a Mysore, tornandoci poi ogni anno per alcuni mesi, consolidando la pratica quotidiana e l’autodisciplina.
Il desiderio di insegnare è venuto in modo naturale, dopo 5/6 anni sentivo di poter trasmettere la mia esperienza, ero un insegnante di nuoto che ormai dedicava gran parte del suo tempo allo yoga e gradualmente cominciai a fare lezioni in vari centri, anche palestre, ovunque ci fossero persone interessate, poi col passar degli anni ho potuto aprire una mia scuola. Durante questo percorso ricevevo dall’istituto in India i riconoscimenti per insegnare, l’ultimo dei quali è il certificato rilasciatomi da Sharath Jois, mio attuale insegnante.
2. Hai avuto l’opportunità di studiare direttamente con uno dei grandi maestri di yoga contemporanei, Shri K. Pattabhi Jois. Puoi dirci qualcosa su questa esperienza di studio?
Ho studiato con Pattabhi Jois fino alla sua scomparsa nel 2009. L’ho conosciuto che era molto anziano e in quegli anni il numero di praticanti che andava a studiare con lui era passato da poche decine ad alcune centinaia, sopratutto come effetto del boom dello yoga che c’era stato in America. Nonostante il gran numero di allievi, che è poi aumentato esponenzialmente fino ad oggi, la sua presenza nella yogashala era speciale, avere i suoi occhi addosso era già sufficiente per portarti ad un miglioramento. Sono pochi gli insegnanti in grado di guidare la persona al superamento dei propri limiti, lui era uno di quelli. Per non parlare della sua conoscenza, dava spesso spiegazioni citando a memoria i sutra di Patanjali o qualsiasi altro testo, il suo inglese era scarso e a volte era difficile per noi comprenderlo. Maestri del suo livello, come Krishnamacharya o B.K.S Iyengar, non credo nasceranno ancora.
3. La tua masterclass a Vivi Yoga si baserà sulla forma tradizionale dell’Ashtanga Yoga di Pattabhi Jois e sulle tre azioni che ne sono alla base, il Tristhana: quali sono queste tre azioni e perché è importante integrarle nella pratica?
Tristhana significa asana-respiro-dristhi. Pattabhi Jois ha sempre voluto enfatizzare tutti e tre gli aspetti, se ci si limita all’ esecuzione delle asana vediamo solo la punta di un iceberg, e perdiamo tutto il resto. Quando il respiro è corretto, con i bandha, e facciamo anche Dristhi (direzionare lo sguardo su un punto) la pratica diventa “interna”, possiamo controllare la mente, e diventa una meditazione in movimento.
4. Asana, pranayama, mantra, mudra… alcune delle tecniche e degli strumenti dello yoga sono ormai nomi familiari anche a chi non ha approfondito lo studio e la pratica di questa disciplina. Curiosamente però nella divulgazione dello yoga non si parla altrettanto spesso della focalizzazione dello sguardo, dristhi. Quali sono le principali focalizzazioni utilizzate nella tradizione dell’Ashtanga Yoga e qual è il loro importante ruolo nella pratica?
I Dristhi in Asthanga Yoga sono 9 (ometto le linee e i punti in basso nei caratteri in sanscrito perché non sono sulla tastiera):
- Urdhve dristhi : in alto
- Brumadhye dristhi : terzo occhio (tra le sopracciglia)
- Nasagre dristhi : la punta del naso
- Parsvayoh dristhi : il lato destro
- Parsvayoh dristhi : il lato sinistro
- Nabhou dristhi : L’ ombelico
- Hastagre dristhi : la punta delle dita della mano
- Angusthagre dristhi : i pollici
- Padagre dristhi : gli alluci
Il significato di Dristhi è dirigere lo sguardo su un punto, non è facile applicarlo nella pratica, ogni asana ne ha uno specifico, serve a migliorare la concentrazione, la presenza, e crea uno stato di unione. Lo sguardo è vigile, attento, ma senza tensione agli occhi.
5. Puoi dirci qualcosa sull’importanza del respiro nella pratica dello yoga e del vinyasa in particolare?
Il respiro ha un ruolo fondamentale sotto molti aspetti, come ho detto precedentemente se non ci fosse la consapevolezza, l’ascolto e la precisione nel respiro, lo yoga rimarrebbe solo esercizio fisico, sicuramente con dei benefici, ma limitato. L’ uso corretto del respiro diventa anche la chiave per eseguire l’asana correttamente, il principio di “Sthira sukham asanam” (stabilità e comodità nella postura). Attraverso il respiro e i bandha lavoriamo a livello energetico, sul Prana. Attraverso il vinyasa impariamo ad usare correttamente le fasi di inspirazione ed espirazione in relazione con il movimento, ed è come se fosse una struttura da seguire, simile ad un mantra che eseguiamo con il corpo e che ci permette di stabilizzare la mente, di non pensare, di essere fluidi.
6. Perché è importante trovare una propria pratica quotidiana e personale dello yoga? Hai un consiglio, o un incoraggiamento, per chi teme di non avere la costanza per rendere regolare la propria pratica?
In occidente si fa un po’ fatica ad accettare che lo yoga sia una disciplina spirituale, anche se universale e non necessariamente dai connotati religiosi. In qualsiasi modo venga praticato esso porta grandi benefici e cambiamenti, che di conseguenza possono cambiare anche il nostro approccio da superficiale a più profondo. Avere un bravo insegnante come guida è molto importante, ma lo è altrettanto sviluppare una pratica personale. Lo yoga è un percorso di auto osservazione che dura tutta una vita. Capisco che è più facile trovare le motivazioni in presenza dell’insegnante e con l’energia del gruppo ma è quando siamo soli con noi stessi che molte cose entrano in gioco. Ancora meglio se la pratica diventa quotidiana, come una piacevole abitudine, ma questo non è sempre facile visto il tipo di vita che conduciamo oggi, lavoro, impegni familiari ecc… Consiglio di provare a farlo, aumentando gradualmente la frequenza dei giorni e la durata della pratica, avendo soprattutto un’ attitudine positiva, in modo da riuscire a mettersi sul tappetino e cominciare, accettando anche che quel giorno sarà più difficile e si farà quello che si può , consapevoli che quando si finisce si starà molto meglio di prima di cominciare la pratica.
7. La prima serie dell’Ashtanga Yoga include alcune posizioni già piuttosto complesse e veder eseguire la sequenza completa, nel suo fluire elegante, può mettere in soggezione i principianti. Ma lo yoga, lo sappiamo, è per tutti. Ci si può avvicinare alla pratica dell’A.Y. in sicurezza e con gradualità, indipendentemente dal proprio livello di esperienza, flessibilità e forza fisica?
Ritengo che anche l’Ashtanga yoga sia per tutti. É senza dubbio impegnativo ma dipende molto dalla modalità con cui viene insegnato. Nel contesto dei workshop intensivi o master class spesso si propone la classe guidata della prima serie completa, tra i praticanti ci potrebbero essere anche dei principianti per cui si raccomanda di non forzare, fare delle modifiche o in alcuni casi fermarsi prima del fine della sequenza. Il miglior modo per proporre l’Ashtanga ad una persona anche in età avanzata o non in buone condizioni fisiche è l’insegnamento individuale, inteso come istruzioni individuali in un contesto di gruppo. In india ad esempio ad un principiante si insegnano solo i saluti al sole per una settimana, quindi sarà una lezione breve (ma tutti i giorni), poi saranno aggiunte alcune posture in piedi e il resto della sequenza. Questa modalità lenta e progressiva permette che tutti possano imparare bene e in modo sicuro, personalmente riesco a farlo con gli allievi della mattina, perché sono di meno.
Ricordo di aver insegnato ad una signora per alcune settimane solo il primo saluto al sole e la parte sul respiro la faceva distesa a terra perché non riusciva a stare seduta. Inoltre ritengo importante che ci sia il passaggio dalla classe guidata alla pratica che chiamiamo Mysore style (self practice), in cui si memorizza la sequenza e si esegue con il proprio ritmo. In questo modo l’insegnante può dare istruzioni e fare aggiustamenti individuali. La classe guidata è importante per imparare correttamente il vinyasa.
Ashtanga Yoga, Marchisio – Valbusa, Macro Edizioni
L’opera di Gian Renato Marchisio e Stefania Valbusa regala un nuovo respiro all’Ashtanga Yoga, è uno strumento importante per chi pratica e desidera ampliare la comprensione sull’essenza di questa grande tradizione yoga. L’Ashtanga Yoga una pratica capace di trasformare. Il fulcro di tutto è il vinyasa, la sincronia tra il movimento e il respiro: un processo che porta alla coscienza il modo in cui la persona si identifica con se stessa e lo trascende, risveglian