Sara Granström Thorsson è un’insegnante di yoga che ha saputo proporre un nuovo approccio all’Ashtanga Vinyasa Yoga, partendo da una solidissima conoscenza di questa disciplina e dell’Hatha Yoga, unita a una grande consapevolezza dell’importanza del respiro nella pratica e nella vita di tutti i giorni, senza mai dimenticare di coltivare la disposizione interiore alla pratica con la meditazione, i mantra e uno stato mentale di profonda gratitudine.
Sara divide il suo insegnamento tra l’Europa e l’Asia: dal 2001 insegna yoga a Stoccolma, in Svezia, suo paese natale, e successivamente ha iniziato a collaborare come senior teacher con una delle più note scuole di yoga nel sud-est asiatico, il Samahita Retreat in Tailandia. Dal 2004 Sara è anche formatrice di insegnanti di yoga, ha fondato e dirige la scuola scuola di formazione, Yogayama Teacher Training a Stoccolma. Sara è inoltre una terapista nutrizionista specializzata nell’Ayurveda, una competenza che come praticante, insegnante e consulente associa allo yoga per il raggiungimento dell’equilibrio psico-fisico e di un buono stato di salute.
L’approccio di Sara all’insegnamento dell’Ashtanga Vinyasa in chiave dolce è estremamente interessante. A riprova che lo yoga è davvero per tutti, lo stile “soft” dell’AVY di Sara Granström Thorsson avvicina alla pratica anche chi, sulle prime, potrebbe essere dissuaso dall’aura di difficoltà fisica (più presunta che reale) che talvolta ammanta questa disciplina.
Sara è stata tanto gentile da concederci questa chiacchierata, in cui ci parla della sua esperienza come insegnante, della sua personale elaborazione dell’Ashtanga Vinyasa, dell’importanza dell’atteggiamento mentale nella pratica e dell’approccio olistico dello yoga nell’aiutare l’individuo.
Nel corso della tua esperienza come insegnante di Ashtanga Vinyasa Yoga (AVY) hai anche sviluppato un approccio dolce (“soft”) alla pratica: che cosa ti ha maggiormente motivato a proporre questo tipo di approccio?
È stata essenzialmente l’ispirazione di diversi insegnanti che stimo e ai quali mi sento legata, ma anche l’attenta lettura di testi yogici che parlano dell’importanza di mantenere una pratica regolare a lungo termine per essere capaci di crescere su questo percorso, nonché dell’importanza del “come” si pratica, sottolineando che è il tuo stato mentale e il tuo approccio a determinare quali saranno i frutti. Infine ho provato ad applicare questi insegnamenti sul mio corpo e devo dire che mi piace il modo in cui mi sento dopo aver praticato quando scelgo l’approccio lento e dolce.
A chi è rivolta una pratica dolce dell’AVY?
Penso che sia rivolta a tutti noi. Tanto ai principianti, come agli yogi più esperti. Per le persone nuove allo yoga la modalità dolce e calma rende le posizioni più accessibili perché c’è il tempo di percepire il corpo e concentrarsi mentalmente. Inoltre hai il tempo per connetterti al respiro e lasciarti guidare dalla respirazione attraverso i movimenti. Se ci penso, immagino che questi stessi benefici si applichino ai praticanti più esperti. Rallentare le cose aumenta le possibilità di percepire tutte le diverse parti che compongono la tua pratica!
Come hanno risposto gli allievi ai quali l’hai proposta?
Quasi tutti positivamente. Ogni tanto le persone che sono più abituate alla scorrevolezza dell’Ashtanga Vinyasa possono sentirsi un po’ frustrate per il fatto che rimaniamo più a lungo in posizione e che non eseguiamo molte asana durante la lezione. Ciò che faccio solitamente è spiegare qual è il nostro scopo e il perché pratichiamo in questa modalità, per dare al gruppo un’idea di quello che sto cercando di fare, e così possono godersi la pratica e il loro corpo in modo diverso.
Ha avuto l’effetto di attirare l’interesse di persone che, per motivi diversi, normalmente preferirebbero praticare un tipo di Yoga meno “impegnativo” dell’AVY?
Sì, sicuramente. Alcuni hanno detto di aver cominciato l’Ashtanga Vinyasa ma di averla poi abbandonata quando il loro corpo ha iniziato a “protestare” in diversi modi. Però, attraverso questo approccio, hanno potuto lavorare con la stessa sequenza da un punto di vista differente, dove la quantità delle posizioni che si eseguono diventa trascurabile, mentre è la loro qualità ad essere riconosciuta.
Quali sono i benefici di una pratica dolce dell’AVY?
Direi una migliore connessione con corpo, mente e respiro, avendo consapevolezza dei tuoi limiti e imparando a lavorare con essi e a rispettarli, ma anche sapendo quando è possibile andare più in profondità. Una pratica dolce ti dà l’opportunità di muoverti verso il punto di equilibrio in tutti gli aspetti.
Che cosa significa, in concreto, applicare un approccio dolce alla pratica dell’AVY? Si perde qualcosa dell’essenza dell’AVY nell’eseguirlo secondo i criteri di una pratica dolce? Comporta una modificazione degli asana che fanno parte della sequenza? Riguarda solo la Prima Serie o anche quelle successive?
Non è una modalità che si adatta ad un solo tipo specifico di yoga, è un atteggiamento, un approccio alla pratica in generale e può essere applicato a qualunque asana, modificata e non, e a qualunque serie, a prescindere che si tratti della prima, della seconda, della terza e così via.
L’approccio dolce all’AVY può aversi anche nel caso in cui si segua il metodo “Mysore”? Se sì, qual è il ruolo dell’insegnante rispetto a quello che avrebbe nel caso di lezioni guidate in cui si applica l’approccio dolce?
Un approccio dolce credo che sia ideale in un contesto “Mysore” perchè sei in grado di muoverti liberamente e secondo il tuo ritmo. In una lezione guidata il ruolo dell’insegnante, a parte quello di spiegare passo passo le posizioni vere e proprie, diventa quello di trasmettere l’atmosfera che lui o lei sta cercando di creare. In un certo modo si tratta di spiegare a parole quella sensazione interiore che vogliamo raggiungere. In un ambiente Mysore sta più agli studenti trovare questa sensazione, ma sicuramente l’insegnante può impostare uno standard in base a come si comportano a lezione, come si adattano e come affrontano situazioni diverse. Credo che un insegnante calmo porti ad avere studenti altrettanto calmi.
Qual è la struttura di una lezione-tipo di AVY, sia nella versione classica sia nella “rielaborazione” in chiave dolce da te proposta?
Quando insegno usando il metodo dolce ci fermiamo per più tempo nelle posizioni, ci concentriamo molto sulla tecnica e cerchiamo di rimanere in contatto con il respiro il più a lungo possibile, ci saranno molti respiri in più e maggiore staticità rispetto alla versione classica dove secondo il sistema tradizionale il conteggio muove il gruppo attraverso ogni asana e vinyasa.
Che cosa suggeriresti, in generale, a un insegnante di AVY riguardo a come insegnare con consapevolezza, e a quei praticanti che si affacciano a questo stile di yoga e vogliono praticarlo da soli seguendone la versione dolce da te proposta?
Dipende essenzialmente dalla tua pratica e dal tuo interesse per questo ambito. In che modo esplori la conspevolezza durante il tuo appuntamento giornaliero con te stesso, le tecniche, il respiro e così via? Sei in grado di lasciar andare le aspettative, i risultati e i desideri di arrivare da qualche parte? Immagino anche che aiuti molto chiedersi perché vuoi fare yoga, porsi questa domanda in modo chiaro nella propria testa. Cosa speri di sostenere con l’aiuto di questa pratica? Una volta che saprai questo, saprai anche come affrontare la pratica e come trovare tè stesso in essa.
Può questa elaborazione più dolce andare bene per persone anziane o disabili, o quali alternative proporresti a questo riguardo?
Penso che l’approccio dolce renda l’AVY accessibile a una varietà di gruppi più ampia, il concetto è quello di percepire il proprio corpo, avere il tempo per imparare a conoscerlo e permettergli di essere così com’è. Per le persone con diverse limitazioni ci sarà anche bisogno di modifiche alle posizioni, con queste due regole penso che tu ti possa adattare alla maggior parte di casi e situazioni.
Il corso di formazione per insegnanti da te organizzato in Svezia include anche una parte dedicata a un tale approccio alla pratica dell’AVY?
Il nostro Teacher Training ha una base di Hatha Yoga classico, ciò vuol dire che include aspetti come le asana, il pranayama, canti, kriya, mudra e meditazione. Insegnamo gli stessi principi che si ritrovano in tutti gli stili di Hatha (compreso l’Ashtanga Vinyasa) ma non usiamo il sistema dell’Ashtanga Vinyasa come struttura per terminare la pratica delle asana. Direi che l’atteggiamento “dolce” funziona da filo conduttore per l’intero training insieme all’idea che non esiste un unico modo che sia adatto per tutti.
La tua formazione come insegnante di Yoga comprende anche una conoscenza approfondita dell’Ayurveda. Che ruolo può avere quest’ultima riguardo alla pratica dell’AVY, e in particolare all’approccio dolce da te proposto?
L’Ayurveda ci insegna che siamo tutti diversi e che abbiamo bisogno di cose diverse per raggiungere l’equilibrio. Questo è un aspetto fondamentale all’interno di questa scienza e può essere applicato a tutto, dal cibo all’esercizio. Tutto deve essere adattato in un modo che aiuti l’individuo. La pratica dello yoga non è diversa in questo.
Puoi leggere la versione originale in inglese di questa intervista sul sito di Sara Granström Thorsson.