Seconda parte dell’intervista al Dott Raul Vergini, autore del libro “Ipotiroidismo: un’emergenza ignorata”.
La prima parte puoi leggerla da QUI.
Gli esami di laboratorio convenzionali (dosaggi ormonali tiroidei) che possono aiutare nella diagnosi della malattia sono sufficienti?
Una risposta rapida potrebbe essere “non sempre”. Nel libro sono illustrati più in dettaglio i limiti degli attuali test di laboratorio usati per diagnosticare l’ipotiroidismo. Il limite principale è che oramai ci si basa solo sul livello del TSH che, oltre ad essere un ormone dell’ipofisi e non della tiroide, non è sempre in grado di rilevare questo problema in quanto ci possono essere pazienti che presentano già chiari sintomi da ipotiroidismo ma che hanno un TSH ancora nel range. E’ quindi preferibile effettuare sempre una accurata valutazione dei segni e dei sintomi clinici in modo da poter interpretare gli esami non in modo meccanico ma con quel minimo di flessibilità richiesto da ogni singolo caso.
Gli esami degli autoanticorpi tiroidei, cioè quelli che caratterizzano la tiroidite di Hashimoto, sono invece solitamente attendibili e se sono presenti in misura significativa dimostrano la presenza della tiroidite cronica (diagnosi poi confermata anche dall’ecografia tiroidea)
Quali sono le strategie vincenti per prevenire l’ipotiroidismo? Cosa occorre tenere d’occhio nella propria vita quotidiana?
Dato che l’ipotirodismo è più frequente in una famiglia in cui sono già dei casi, chi si trova in questa situazione (soprattutto se femmina) è bene che tenga presente questa possibilità e fra gli esami del sangue aggiunga sempre anche gli ormoni e gli anticorpi tiroidei, specie se apparissero sintomi compatibili con l’ipotirodismo, primi fra tutti la stanchezza fisica e/o mentale e una tendenza dell’umore verso il malinconico/depresso.
Anche la temperatura corporea ascellare al mattino appena svegli (test di Barnes) è un importante indizio da tenere d’occhio dato che in caso di ipotiroidismo questa sarà sempre tendente al basso (36.2 o meno).
Anche se non c’è una sicura forma di prevenzione specifica, sostanzialmente andrebbe fatto tutto ciò che in generale aiuta a mantenere un buono stato di salute: una dieta corretta con una modesta quantità di carboidrati (evitare gli zuccheri) e una maggior quantità di proteine (animali e/o vegetali), attenzione alle intolleranze alimentari (glutine, latticini, lieviti…), non aver paura dei grassi animali (escludere solo quelli vegetali e idrogenati come margarine e olii di semi), evitare cibi che riducono l’attività tiroidea come la soia o l’eccesso di crucifere, evitare il latte se non è crudo e biologico, preferire alimenti ricchi di nutrienti e vitamine come carne grass-fed e biologica, pesce fresco pescato, alghe, formaggi stagionati meglio se da latte crudo o capra e pecora, burro di alpeggio o comunque grass-fed, olio di oliva solo extravergine, olio di cocco, uova solo biologiche, verdura e frutta biologica, alimenti fermentati (kefir, crauti, kombucha, kimchi…). Non va dimenticata una integrazione dei nutrienti più utili per supportare l’attività tiroidea (vitamine A, D, B12, selenio, zinco, iodio…). Cercare di ridurre le fonti di stress fisico e psichico e le emozioni negative, essere grati per le cose buone che abbiamo, non vivere sempre di corsa, sorridere spesso anche da soli e senza particolari motivi, stare il più possibile all’aria aperta (quando possibile scalzi a contatto col terreno) e fare una moderata e regolare attività fisica.
I farmaci di sintesi utilizzati abitualmente per la cura comportano anche effetti collaterali non piacevoli, specie se utilizzati per lunghi periodi. È meglio comunque assumerli o ci sono altre possibilità?
Se siamo in presenza di un ipotiroidismo con sintomi conclamati, soprattutto in caso di tiroidite cronica, quando la ghiandola per il danno strutturale che ha subito non è più in grado di produrre una quantità adeguata di ormoni, l’uso dei farmaci (cioè di ormoni tiroidei) è assolutamente necessario. Naturalmente altri interventi possono essere utili e costituiscono una parte importante della terapia, ad esempio le correzioni dietetiche, l’uso di nutrienti utili all’attività tiroidea (alcune vitamine e minerali) ma questi da soli spesso non sono sufficienti per risolvere la sintomatologia.
L’ormone tiroideo più utilizzato è oggi la tiroxina sintetica (T4), che il più abbondante fra i 4 ormoni prodotti dalla ghiandola tiroidea. Questo però è un ormone inattivo che avrà un effetto metabolico solo una volta trasformato in T3 (liotironina). Per varie ragioni questa conversione a volte non viene effettuata in modo soddisfacente nel nostro organismo e questo è uno dei motivi più comuni della sua scarsa efficacia clinica.
La tiroxina che viene assunta come farmaco è comunque identica a quella prodotto dalla nostra tiroide e non è quindi una sostanza estranea al nostro organismo, e per questa ragione non può avere particolari effetti collaterali (a meno che non si esageri col dosaggio). Il suo principale problema, come già accennato, è che pur essendo spesso è in grado di correggere il valore del TSH non è altrettanto efficace nel migliorare i sintomi del paziente che resta quindi comunque ipotiroideo. A differenza della tiroxina, la vecchia tiroide secca di origine suina, che fu il farmaco di scelta per gran parte del XX° secolo, contenendo tutti gli ormoni prodotti dalla tiroide è spesso in grado di compensare meglio la carenza rispetto alla sola tiroxina e quindi di migliorare anche la sintomatologia clinica.
PER APPROFONDIRE
“Ho scritto questo libro per informare il pubblico sulla elevata incidenza e sulla reale portata di tutti i casi di ipotiroidismo e per consentire di verificare se i sintomi siano compatibili con questa patologia. Così sarà possibile cercare una conferma diagnostica dal proprio medico di fiducia e, non meno importante, evitare che noi medici perseveriamo nell’errore.” (L’autore)